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ORGANETTO E FISARMONICA
Alberto Cesa
La fisarmonica è il risultato di uno dei più complessi e interessanti fenomeni musicali della cultura popolare e ha una storia degna delle più grandi tradizioni. Vale la pena ricostruirla partendo, come sempre si deve fare per gli oggetti del mondo popolare, da lontano, da molto lontano. In questo caso risaliamo all’inizio dell’800, ad un’epoca in cui l’Europa musicale avvia un’affannosa ricerca di strumenti nuovi e originali. Dall’Asia sono appena arrivate le ance libere, conosciute dai cinesi fin dal 2000 a.C. Mediante le loro vibrazioni, che offrono suoni mai sentiti prima, si iniziano a costruire oggetti musicali, strumenti strani e spesso curiosi come l’aelodion, il terpodion, l’hondeoline…fino all’armonica a bocca, alla concertina e all’organetto. Il primo modello di organetto, a tutti gli effetti il papà della fisarmonica, viene brevettato nel 1829 a Vienna da Cyril Demian con il nome di “accordion” ed è ricavato da una semplice scatola munita di soffietto. Si presenta ancora rudimentale, con una sola fila di tasti melodici e due bottoni per i bassi. La lunga strada che ci porta a quel semplice prototipo alle più sofisticate fisarmoniche passa per l’Italia. Siamo nel 1863: protagonista un uomo il cui nome ancora oggi identifica una delle più importanti produzioni del mondo. Si racconta che in quell’anno uno straniero viennese, di ritorno da un pellegrinaggio al Santuario di Loreto, si fermasse a Castelfidardo e chiedesse ospitalità a un contadino di nome Paolo Soprani. Si dice anche che il giorno successivo quel viandante lasciasse in dono al contadino, per ringraziarlo dell’ospitalità, l’”accordion” che portava con sé. Un’altra versione, più accreditata nella memoria orale e più credibile anche in rapporto alle rispettive culture dei due protagonisti, l’una chiusa e austera, l’altra contadina, per questo curiosa e indagatrice, racconta invece la vicenda in modo diverso. A quanto pare andò così: il Soprani, affascinato da quell’aggeggio che non lo faceva dormire, nella notte lo smontò, segnò tutte le misure e al mattino lo riconsegnò rimontato all’austriaco. Decise quindi di riprodurlo. Aprì un laboratorio e iniziò la costruzione di organetti sempre più perfezionati, che trovarono come primi acquirenti cantastorie, zingari e ambulanti. Da costoro fu diffuso in ogni angolo d’Italia diventando un supporto innovativo e sempre più influente nelle musiche etniche, dalla Sardegna alla Calabria, dal Piemonte al Trentino… Infatti, anche se la polifonia metallica fu, nel momento in cui apparve, una straordinaria novità che attirò la curiosità e l’interesse di suonatori di ogni ambiente, è un dato di quelle sonorità, ruvide e armoniose allo stesso tempo, furono adottate quasi esclusivamente dal mondo popolare, contadino, dove l’organetto assume il ruolo di strumento di transizione tra l’arcaico e il moderno. E’ da rilevare in proposito che mentre da un lato questo nuovo strumento contribuisce, grazie alla sua “comoda” meccanicità, al declino o all’abbandono di strumenti popolari arcaici, coma la piva (cornamusa) del nord-Italia, dall’altro favorisce la creazione di nuova musica e in particolare la diffusione nelle feste popolari delle più note danze d’importazione: valzer, polka e mazurka. Nella sua evoluzione “storica” verso la fisarmonica conosce uno stadio intermedio molto interessante, caratterizzato da un semitùn ancora “bisonoro” nei tasti melodici, ma già indipendente nei bassi, che in Piemonte gode di una notevole popolarità fino all’ultima guerra mondiale. Sul versante urbano e colto, invece, organetti e fisarmoniche incontrarono diffidenze e difficoltà non ancora dissolte. E’ sintomatico quanto scrive Giampiero Tintori sull’Enciclopedia Utet: “la Fisarmonica non è certo uno strumento che abbia nobili aspirazioni foniche, il suono è decisamente volgare, inconciliabile con le necessità di carattere artistico, a meno che non lo si voglia usare per facili effetti villereschi o di orchestrina, essendo lo strumento indissolubilmente legato a tali ambienti…” A prescindere dal giudizio spregiativo legato all’ambiente che ancora una volta evidenzia la diffusa ignoranza dei reali valori della cultura popolare, troviamo in quell’affermazione una innegabile verità storica: l’industria della fisarmonica è stata per anni condizionata dalle indicazioni provenienti dall’acquisto esclusivamente popolare. D’altronde la strada che porta la piccola bottega di Paolo Soprani a diventare un’industria di portata internazionale coincide, per tempi e modalità, con il processo di trasformazione economica che determina l’abbandono delle campagne, l’emigrazione, l’urbanizzazione. Divenuto dopo sofisticate modifiche uno strumento tecnicamente perfetto, la fisarmonica, in tutte le sue varianti, si diffonde in ogni angolo del mondo, non rappresentando soltanto la sua matrice popolare, ma cimentandosi spesso nei più complessi linguaggi musicali. Senza scomodare i virtuosismi di artisti come Art Van Damme o Mat Mathews, chi non ricorda le stupende armonie bandeonistiche di Astor Piazzolla o il jazz cromatico “a bottoni” di Gorni Kramer? O, sul versante classico, le pagine dedicatele da “gente” come Ciajkovskij o dal più recente Alban Berg per non parlare del nostro immeritatamente poco conosciuto concittadino torinese Ludovico Rocca?
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