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UNA REGINA PER COMPAGNA
Un anziano liutaio di ghironda
possedeva una moglie dolce e bionda
le chiese: ”hai avuto amanti?
E se li hai avuti, quanti?”
Lei rise: “non sperar che ti risponda!”
(dal “libro dei Limerick” di M.Manfredi - M.Trucco)
dal DISCOLIBRO “iFOGLI VOLANTI di
Alberto Cesa - diario di un musicante” (il manifesto - 067)
Verso la fine degli Anni ‘70 in Europa (soprattutto in Francia
e Gran Bretagna) si avviò un vero e proprio rinascimento
del folk, soprattutto attorno alla ricerca degli antichi suoni tradizionali.
Da noi il folk stava invece per essere ricacciato nelle osterie,
perché le sue principali occasioni di esposizione, le feste
dell’Unità, stavano pian piano venendo a mancare. Il
Pci, nelle sue prove-d’ulivo che chiamava compromesso storico,
per liberarsi della vecchia immagine antagonista (seppure relegata
da tempo alla sola base, e neanche tutta) aveva deciso di gettare
il bambino con l’acqua sporca... Vale a dire: per non far
più circolare il canto popolare d’opposizione legato
al folk, tagliò il folk! Per noi, lasciando perdere l’incazzatura
politica, si trattò ben presto di sopravvivenza artistica
(cosa non di secondo piano per chi sceglie il palco per esprimere
la propria visione della cultura e della musica).
L’alternativa diventò chiudersi nelle cantine a fare
il punk, oppure (come ovviamente scelsi) approfondire l’aspetto
espressivo del folk, che per noi significò sovrapporre allo
stile agile e conciso del fin lì predominante cantare politico,
le sonorità affascinanti ed evocative degli antichi stilémi
del mondo popolare. Un’ impostazione (per me neanche del tutto
nuova) che si rivelò subito una grande occasione di arricchimento
culturale. Senza abbandonare il repertorio politico, che continuai
anzi a praticare (arrivando perfino ad inventare occasioni per farlo
ancora circolare) presi a girare l’Italia e l’Europa
(la Francia soprattutto) a caccia di dulcimer, epinette, mandole,
flauti, autoarpe, cornamuse, organetti e altre diavolerie musicali...
Mi imbattei sovente in bellissime (e costosissime, alla faccia della
parsimonia piemontese!) sorprese. Ma non mi sentii appagato fino
a quando non riuscii finalmente a realizzare il sogno che da tempo
mi ossessionava, diventando il più classico dei chiodi fissi:
comprare una ghironda! Quella strana scatola medioevale con una
ruota che gira e sfrega le corde per farle risuonare... che avevo
ascoltato casualmente molti anni prima da René Zosso in un
Festival (quando ancora circoscrivevo il folk alle sole canzoni
di Dylan) e che mi aveva immediatamente folgorato!
Ebbene, dopo una lunga ricerca, ne trovai finalmente una. Di seconda
mano.
Fu una botta di culo!
Letteralmente. Nel senso che la comprai, la misi nel baule della
macchina e, sulla strada verso casa... fui tamponato in corsa da
un automobilista ubriaco... senza assicurazione!
Correva l’anno 1978.
Sono passati più di vent’anni da quando fui lanciato
così di botto nel mondo dei ghirondisti, allora ristretto
a quattro gatti, almeno in Italia.
Oggi la ghironda é strumento abituale di decine di formazioni
folk italiane e straniere. Appare spesso in televisione. Eppure,
alla fine di ogni concerto, mi tocca ancora quasi sempre il supplizio
della spiegazione a chi vuole saperne di più sulla “gironda”,
piuttosto che sulla “ghisolfa” o sulla “ghirlanda”.
Sconfitti costoro, nella loro imprecisione, soltanto dalla sintesi
di un piccolo genio di una delle tante scuole materne in cui per
anni ho cercato di contrastare il virus dell’imbecillità
musicale crescente, che la consacrò ai posteri come la “pera
musicale”.
Nella fioritura “modale” (nel senso non di quel tipo
di musica da cui nasce il prezioso oggetto in questione, ahimé,
ma della moda tout-court!) di sonorità etniche che ha oggi
invaso il mondo della musica (non c’é gruppo ethno-rock,
o d’ambiente similare, che si rispetti, che non si “contamini”
con il suo bel djembe, con qualche ancia mediterranea o celtica,
alcuni strumentini arabi, per non parlare dell’ “ex
sfigatissima” prezzemolo-fisarmonica...), devo dire che la
ghironda si è difesa abbastanza bene: credo soprattutto per
il fatto che richiede una manutenzione molto complicata e che, detto
in parole povere, per suonarla decentemente bisogna...“farsi
un culo della madonna!”
Sulla specificità della ghironda (il fatto che per esempio
è l’unico strumento esclusivamente europeo, non proveniente
cioè da archetipi orientali o africani, come tutti gli strumenti,
popolari e non, che conosciamo, nato sicuramente dalla mente di
un folle intorno all’anno Mille...) potrei scrivere per anni...
Ve lo risparmio, rimandando il tutto ad una vostra eventuale richiesta
scritta (la risposta, vi preannuncio, sarà costosissima!)...
Ci sono però, attorno a quella che dal medioevo trobadorico
fino all’avvento della fender é stata la “regina
di tutti gli strumenti” (cronache cantano!), un paio di curiosità
che vorrei segnalarvi. Una riguardante la sua dimensione folk, l’altra,
l’immagine che ne é stata riprodotta a livello cinematografico.
Entrambe sintomatiche del complesso rapporto, tuttora irrisolto,
tra quella che l’Inquisizione perseguitò quale strumento
“sensuale e diabolico” ed il mondo circostante:
1 - Una coppia catulliana
Ricordate Odi et amo di Catullo? Ricordate er poeta con cui una
volta a scuola ci facevano capire meglio i difficili rapporti tra
genitori e figli, suocere e nuore, mariti e mogli, mogli e amanti,
amanti e mariti e via dicendo?....
Seguite allora attentamente: la ghironda nella musica tradizionale
fa coppia molto spesso, quasi abitualmente, con l’organetto.
Per due ragioni:
Una, la principale, perché stanno benissimo insieme. Sono
di fatto quello che di più complementare offra la strumentazione
“etnica” (che i praticanti dell “ethno”
ovviamente snobbano...)
L’altra é per... masochismo!
Perché l’organetto, quella scatola “circense”
nobilitata esclusivamente dal virtuosismo raggiunto da qualche suonatore,
grazie ad alcuni ritocchi fatti apportare alla sua struttura tradizionale
(sto scherzando, ovviamente!), è uno di quei famigerati strumenti
popolari che della mia beneamata hanno favorito subdolamente il
declino: perché ne può riprodurre (più o meno)
il repertorio, senza dover passare attraverso le forche caudine
del reglage dell’accordatura!
Da qui l’allegro odio-amore tra le due famiglie di suonatori
che si risolve spesso in fulminanti fiorettate verbali.
Un esempio?
- L’organettista, presentando il compare ghirondista, dice
al pubblico: “abbiate pazienza, ormai lo sanno anche i bambini
che un suonatore di ghironda passa metà del suo tempo ad
accordare e l’altra metà a suonare scordato...”
- Il ghirondista di rimando: “il suonatore di organetto passa
invece metà del suo tempo a suonare e l’altra metà
a sparare cazzate!”
2 - La ghironda e il cinema
Sulla ghironda, cosa che per i non addetti può apparire strana,
c’é una letteratura cinematografica molto vasta e direi
persino competitiva con altri strumenti ben più diffusi,
come il flauto, per citarne uno.
Compare nell’arco della storia del cinema in numerose e, a
volte, anche assai lunghe sequenze. In qualche occasione è
stata addirittura la “protagonista”! Come per esempio
in un film, che, per tornare al rapporto catulliano di cui sopra,
mi ha fatto veramente incazzare.
Parlo di Capitani coraggiosi, la trasposizione cinematografica del
celebre romanzo di Kipling, in cui il marinaio portoghese Manuel
(Spencer Tracy) la suona ripetutamente in immagini suggestive tra
il mare e le stelle, fino a lasciarla, in solenne e commovente eredità,
al giovane spocchioso milionario da lui stesso rieducato alla vita.
Non sono ancora riuscito a visionare la versione originale. In quella
italiana il doppiaggio, fatto in era fascista (il film è
del ‘37), come ti va a chiamare l’hurdy-gurdy, la ghironda?
ORGANETTO!!!
Uno spunto in più per il mio antifascismo!
Alberto Cesa (racconto scritto nel 1998)
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